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Calenda, Renzi e il vicolo 23

Ritratto di E.p.
Inviato da E.p. il Mer, 12/04/2023 - 11:44

Paese come un altro il mio, in quei tardi anni 70’, inizi 80, con i suoi quartieri, strade, vicoli, selve oscure e giardini occultati…
La toponomastica ufficiale sconosciuta ai più, sostituita da nomi di fantasia che sintetizzavano, alla ironica maniera napoletana, caratteristiche fisiche, sociali, culturali, economiche del luogo.
La meglio e la peggio gioventù del ridente paese, si raccoglieva in posti specifici a seconda del background familiare, politico e tossicologico.

La piazza era territorio di 68ini in ritardo di un decennio, fricchettoni, capelloni, rocchettari e di sinistra.
La parte più alta e pseudo residenziale, era occupata da giovinastri modaioli, notoriamente tendenti a destra… in qualche occasione anche “pendenti” a destra per il consumo di sostanze di non meglio specificata composizione chimica.

Tra la piazza e la zona residenziale, altri avamposti per gruppi misti di diversa derivazione, che si componevano e si scomponevano a seconda del numero di ragazze che sostavano in zona.
Poi… c’era il vicolo “23”.

Chi ha frequentato le sacre tavole della tombola napoletana, conosce cosa significa questo numero, ma per i meno avvezzi alle delizie dei roteanti cestini con i numeri di legno, si rende necessario dare l’informazione chiave: 23 nella smorfia napoletana è “ò scem” (lo scemo).
Mai conosciuto il nome reale della via. La denominazione “23” era stata data per la fauna umana che stabilmente stanziava nella strada.
Erano stati quelli del regno di mezzo (cioè quelli che preferivano ciondolare da un presidio all’altro senza posizionarsi mai), ad attribuire l’epiteto.

All’epoca non si parlava di politicamente corretto e di inclusione e, senza nessun senso di colpa e senza timore di un linciaggio social, si appellava l’“indigesto” con l’insulto ritenuto più adatto a cogliere l’essenza, il mood del destinatario dello stesso. Tutto sommato “scemo” era insulto gentile: a metà strada tra “stronzo” e “deficiente”.
Ma, quali erano quindi, i requisiti necessari per avere accesso nell’elitario club dei “23”?

Potrei elencare una serie di tratti socio-caratteriali di Questo o Quello, esemplari frequentatori che sintetizzavano tutte le caratteristiche dei membri del club. Essendo però, i suddetti Questo e Quello sconosciuti ai più, la descrizione risulterebbe noiosa e poco efficace a rendere la trasposizione psicologica dei personaggi. Più esplicativo è invece, riferirmi a due attuali esponenti della politica nostrana che incarnano talmente bene le fattezze fisiche e morali dei “23”, da poter essere considerati a buon titolo, nativi indigeni del vicolo.

Sto parlando di Calenda e Renzi, che elenco in doveroso ordine alfabetico, per evitare odiose classifiche di chi sia più meritevole della palma del “Perfetto 23”.
Figli di imprenditori (di generica impresa, talvolta borderline) o di professionisti (di generica professione, talvolta al servizio di imprese borderline); iscritti al liceo, classico per lo più, talvolta scientifico.
Si muovevano come pavoni, con la ruota di piume sempre in mostra, guardandosi intorno per gongolare dell’ammirazione che presumevano di suscitare…

Pseudo intellettuali in abiti firmati di stilisti di nicchia, dispensavano opinioni di minghia, vendendole, e lo dico in senso letterario, come verità universali.
Sinistroidi di facciata, democristiani al voto, destrorsi di indole, quelli del vicolo 23, si molleggiavano nella strada tra un marciapiede e l’altro, scambiandosi convenevoli e giudizi sprezzanti sull’umanità altra che non aveva alcuna ambizione ad entrare nel cerchio magico dei perfetti “23”.

Fango a pale era riservato a coloro che osavano dubitare sulla veridicità di certe notizie di cui, chissà come, avevano l’anteprima in esclusiva. Poco importava poi, se le stesse si dissolvevano nell’aria come scorregge silenziose di cui ti accorgi per il pestifero odore e che lasciano, come scia, solo ilarità.

Come Calenda e Renzi, i tuttologi 23, erano portatori di un’antipatia autentica, che si manifestava in ogni gesto, postura, prossemica e si esprimeva in ogni parola, frase, pensiero. I “sotuttosoloIO”, “horagionesoloIO”, “sonofigosoloIO”, “sonoamatosoloIO”, erano così abbagliati dal riflesso che “soloLORO” vedevano circondare la propria immagine, da non rendersi conto della solitudine e, qualche volta del grottesco, della condizione “soloIO”.

La maggior parte dei membri dei tanti vicoli 23 sparsi per l’Italia comunque, crescendo, quell’antipatia se la sono lasciata alle spalle, anche perché, non è una condanna a vita quella di essere un 23: in tanti, scontata la breve pena, hanno archiviato certe affiliazioni, come errori di gioventù.

Calenda e Renzi invece, hanno mantenuto la loro naturale aura di antipatia.
Il punto è che, malgrado gli sforzi, non si riesce ad evitarli: attraverso un intervento televisivo, un tweet, un’intervista, tocca subire la loro boriosa autostima, lo snobismo sociale ed intellettuale di considerare gli altri come cacchine, il solipsismo esasperato, l’idea che l’umanità debba essere grata per la fortuna di averli come “consulenti” di vita.

Sono come moleste zanzare di cui senti il ronzio non appena ti metti a tuo agio. Hai fatto di tutto per non farle entrare in casa ma loro, un varco l’hanno trovato … lo trovano sempre.

Ecco! Questi sono Calenda e Renzi: i perfetti 23 che con una piccola e indolore puntura che ritenevi innocua, ti stanno infastidendo pesantemente da anni.

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