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Dalla scimmia ubriaca al sommelier

Ritratto di Vincenzo Cimmino
Inviato da Vincenzo Cimmino il Sab, 23/03/2024 - 13:46
Dalla scimmia ubriaca al sommelier

“L’esistenza del vino è la prova che Dio ci ama, e che ama vederci felici” (Benjamin Franklin)

Da dove nasce la nostra attrazione per l’etanolo? Da questa domanda comincia il “viaggio evolutivo” che dai nostri antenati primati, le scimmie, arriva fino ai manieristi sommelier dei nostri giorni.

Partendo dall’inizio, nell’evoluzione umana, due fenomeni legati all’alimentazione hanno avuto un ruolo fondamentale: la cottura del cibo e l’utilizzo degli alimenti fermentati.

La cottura, procedimento che rende più agevole la digestione, ha permesso di ridurre drasticamente le dimensioni dello stomaco, inducendo, con ogni probabilità, l’aumento delle dimensioni del nostro cervello.

Allo stesso modo, l’utilizzo dei cibi fermentati, ha consentito una maggiore assimilabilità degli alimenti ingeriti. Le fermentazioni infatti, inducono una serie di processi quali la scissione di catene alimentari complesse, la formazione di probiotici e, frequentemente, il miglioramento delle caratteristiche organolettiche di molti cibi, resi in questo modo più appetibili.

In realtà, il termine “fermentazioni” raggruppa processi molto diversi dal punto di vista chimico e microbiologico, che hanno come caratteristica comune quella di avvenire in assenza di ossigeno e di sviluppare energia. A seconda dell’agente induttore, che può essere un batterio o un fungo (in questo caso ci troviamo di fronte a muffe o lieviti), si hanno prodotti molto diversi in funzione dell’enzima generato. A seconda dei casi quindi, si parlerà di fermentazione omo o etero-lattica, butirrica, propionica, ecc. Tra le fermentazioni, quella più nota è sicuramente quella alcolica, indotta in massima parte da lieviti, la quale dà origine, come prodotti finali, all’alcol etilico ed all’anidride carbonica.

Ed eccoci di nuovo alla domanda iniziale. “Da dove nasce la nostra attrazione per l’etanolo?” A questa domanda ha dato una risposta un antropologo americano, Robert Dudley, con la teoria della “scimmia ubriaca”.

Secondo l’autore, questa seduzione è legata al consumo di frutta matura da parte dei nostri antenati primati. Sembra infatti che le scimmie, oltre 10 milioni di anni fa, abbiano sviluppato la capacità di degradare l’alcol etilico grazie a due enzimi, l’alcol deidrogenasi e l’acetaldeide deidrogenasi. Grazie a questa mutazione, esse avevano acquisito la possibilità di alimentarsi di frutta matura che contiene basse percentuali di etanolo, sfruttavano quindi in questo modo la maggiore capacità energetica e la proprietà di questo alcol nello stimolare l’appetito favorendo la formazione di riserve alimentari e, non ultimo, attivando un circuito del piacere.

Nei millenni successivi, la specie umana iniziò la produzione di bevande fermentate e il loro utilizzo diventò una prassi comune. Numerose sono le testimonianze raccolte, in particolare in Cina, che fanno risalire già a settemila anni fa, la produzione di prodotti alcolici vari, come idromele e birre, mentre le prime notizie relative alla produzione di vino, risalgono a circa 3000 A.C. in Mesopotamia.

Gli antichi, da saggi quali erano, rendendosi conto che l’utilizzo eccessivo di alcol produceva ubriachezza molesta, ne ritualizzarono l’uso in un ambito mistico-religioso e, difatti, nelle società antiche troviamo delle divinità dell’ebbrezza, come Hathor in Egitto, Dionisio in Grecia e Bacco nella Roma antica.

Per quanto riguarda la ritualizzazione del bere, è interessante la pratica del Simposio nella cultura greca. Il Simposio era momento che seguiva i pasti, in cui si beveva e si svolgevano attività varie, come il declamare poesie, discutere dalla realtà politica, giocare, ma anche praticare sesso. Da quel momento in poi, il bere diventa attività di socializzazione e, compiere questo atto, serviva a creare comunanza e appartenenza. Da ciò la nascita del detto che in latino diventerà “in vino veritas”.

La svolta della ritualizzazione del bere è fondamentale e accomuna un po' tutte le società antiche, tra cui anche quella romana e successivamente quella cristiana, che con la figura di Cristo che, con la sua esortazione “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”, dà origine al bere comunitario cristiano.

Nei secoli successivi, sulla scorta di questa nuova visione, si diffusero i locali pubblici in cui si consumavano le bevande alcoliche in compagnia. In realtà l’atto del bere si svolgeva in ogni luogo, basti pensare ai vari litri di birra previsti nella razione giornaliera dei monaci nei conventi.

Questa esigenza del bere vino o birra, in grossa parte nasceva dalle pessime qualità igieniche dell’acqua, che spesso risultava addirittura pericolosa per la salute, come conferma il detto inglese “Birra se ce ne, acqua se la birra non c’è”. Oltre a ciò, va considerato anche il valore energetico delle bevande alcoliche. Con l’incremento della popolazione durante il medioevo, infatti una parte del fabbisogno calorico veniva ad essere soddisfatto grazie all’alcol.

Veniamo ora alle attuali modalità del bere, introducendo il concetto di “buongusto” e di cosa sia considerato tale. La nascita di questo concetto avviene nell’età moderna modificando l’idea che fino al medioevo riguardava la capacità di apprezzare il buon cibo e l’ottimo vino.

Fino al medioevo, infatti, la capacità di apprezzare e valutare un buon pasto, la si attribuiva ad una dote innata, quasi istintuale, quindi ontogenetica, legata al fatto che ogni uomo, a secondo del ceto di appartenenza, avesse una propria capacità di percepire e gustare un alimento. Questo concetto con l’età moderna va a modificarsi, per cui coloro che hanno buongusto sono quelle persone che hanno un substrato culturale che permette di apprezzare un buon piatto o un vino di qualità.

Questa trasformazione “copernicana” nell’intendere la capacità di apprezzare il buono ed il bello come prerogativa socio-culturale, si andrà poi a completare successivamente con l’età della borghesia.

Con l’Ottocento, a questo cambiamento prospettico, si aggiungono le trasformazioni indotte dalle nuove conoscenze nel settore chimico e microbiologico, che portano alla nascita di una nuova figura, quella dell’enologo. Questo cambiamento ha generato nel tempo, soprattutto nelle zone più vocate per la produzione del vino, una netta separazione tra quella che è la fase della coltivazione della vite e quella della trasformazione del mostro in vino, portando alla creazione di una vera e propria industria del vino, in cui l’aspetto finanziario ha assunto sempre più un ruolo prioritario e preponderante ai fini di una crescita qualitativa del prodotto “vino”.

In parte legato al concetto di “buongusto”, c’è un altro elemento da considerare e cioè il grande interesse che ha assunto, nella società contemporanea, il parlare del cibo e del vino in particolare. Questa nuova prospettiva ha creato una vera e propria industria culturale, con riviste, libri, corsi di formazione, siti specializzati, blog ecc, che, se da un lato hanno in parte migliorato la diffusione delle conoscenze sul vino, dall’altro, essendo un’industria, nella maggior parte dei casi si autoalimenta con filoni che poco hanno a che fare con il vino.

Questo ha portato ad una ricerca continua di novità da presentare al consumatore che si ritrova travolto da dibattiti, nuove correnti e scuole di pensiero che hanno del tutto perso di vista il piacere del bere. Esempio di questa tendenza è il recente lancio dei cosiddetti vini naturali.

La finalità è quella di presentare al consumatore un prodotto-merce sempre nuovo, con lo scopo di portare avanti questo grande e fruttuoso circo mediatico, non certo quello di migliorare l’effettiva capacità del consumatore di apprezzare ciò che beve per ricavarne un effettivo piacere.

In questo gioco il consumatore viene, in qualche modo, indotto a ritenersi incapace a riconoscere e a godere di un buon vino, con un prezzo giusto, e si affida quindi ad un “esperto” che lo supporti a riconoscere il “buongusto”: il sommelier.

E’ qui che si completa il nostro viaggio evolutivo. Dalle scimmie ubriache siamo arrivati ai sommelier che, insieme alle altre tendenze dei nostri tempi, hanno modificato completamente il nostro senso del bere il vino facendocene spesso perdere il significato, perché la migliore bottiglia che abbiamo bevuto nella nostra vita, quella che ricordiamo di più, rimane quella che abbiamo bevuto in compagnia dei nostri amici.

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