
Per troppo tempo abbiamo accettato l’idea che il mondo sia governato dall’alto. Che siano pochi a decidere, mentre i popoli subiscono. Ma la realtà storica racconta un’altra verità: i veri cambiamenti partono dal basso.
Le agende globali degli ultimi decenni hanno fallito. Sempre gli stessi schemi, sempre gli stessi interessi: le nazioni più ricche dettano le regole, le più vulnerabili pagano il prezzo. Parlare di giustizia sociale e pace non è un’ingenuità, ma una necessità. Ogni compromesso con le élite, ogni silenzio complice ci porta un passo più vicino al precipizio.
Viviamo in un mondo governato da chi non ha mai conosciuto il sudore, la fatica, la fame. E allora, chiediamoci: davvero possiamo ancora illuderci che il cambiamento possa arrivare da pochissime persone potenti con liquidità infinite?
La geopolitica non rappresenta i popoli, ma il profitto. I vertici economici e politici, chiusi nei loro circoli esclusivi, non cambieranno mai un sistema che li avvantaggia.
Noi viviamo le conseguenze delle loro scelte.
La disuguaglianza cresce, i diritti vengono calpestati, il pianeta collassa. E mentre tutto questo accade, le nazioni non investono in soluzioni, ma in armi, preparandosi alla prossima guerra.
La verità è che l’attuale modello economico non è solo ingiusto: è suicida. Servono nuove regole, nuove priorità, un’economia che redistribuisca le risorse e rispetti l’ambiente, invece di saccheggiarlo.
Eppure, in molti pensano che "è così che funziona il mondo". Che il potere sia inevitabilmente nelle mani di pochi. Ma è davvero così?
La storia ci insegna che i grandi stravolgimenti non sono nati nelle stanze dei governi, ma nelle strade, nelle piazze, tra le persone comuni. Da chi ha più da perdere, da chi ogni giorno subisce le conseguenze di decisioni prese da pochi, per pochi. Se qualcosa cambierà, sarà perché qualcuno lo avrà preteso.
È qui che si apre un interrogativo fondamentale: questo sogno di un cambiamento globale dal basso è solo un’utopia idealista o può fondarsi su basi solide di conoscenza sociale e partecipazione consapevole?
Probabilmente, è un’idea che supera le categorie tradizionali, perché non si limita alla sfera filosofica, ma abbraccia la realtà concreta delle ingiustizie globali. Si tratta di una visione che guarda al futuro non con la lente di un’ideologia, ma con quella di un’umanità finalmente consapevole delle sue responsabilità collettive.
Il problema è che, mentre le élite globali sono organizzate e compatte, chi lotta per un mondo più giusto è spesso diviso. Esistono già reti dal basso, fatte di associazioni, movimenti e individui impegnati per i diritti umani e la sostenibilità. Ma sono frammentati, dispersi, spesso invisibili. La rete globale che dobbiamo costruire non è fatta di tecnologie, ma di consapevolezza. Consapevolezza di chi siamo, di cosa vogliamo, di cosa possiamo fare. Dobbiamo educare le comunità a riconoscere i meccanismi di sfruttamento e a immaginare alternative concrete.
Le istituzioni internazionali, sulla carta, dovrebbero garantire equilibrio e giustizia. Ma, diciamolo chiaramente, finora hanno fallito. Schiave dei ricatti dei grandi stati, paralizzate dai veti di chi usa la diplomazia come arma di potere. L’ONU stessa si è rivelata spesso un gigante senza voce.
Possiamo immaginare un modello diverso? Un’ONU capace di intervenire come arbitro imparziale nei conflitti, di garantire i diritti fondamentali e di promuovere negoziati trasparenti e giusti. Un modello che, come nei contratti commerciali tra privati, superi finalmente la logica della supremazia e del dominio.
Sarebbe un’utopia, dicono. Ma non è forse ancora più utopistico credere che il sistema attuale possa reggere all’infinito?
Perché la verità è che questo modello si sta sgretolando.
La crescita infinita su un pianeta con risorse finite è un’illusione. La fiducia nelle istituzioni è ai minimi storici. Viviamo in un’epoca di crisi globale, dove troppo spesso oramai, i governi tradiscono il volere dei loro popoli.
Allora qual è la risposta?
Non esiste una soluzione unica. Non ci sarà un momento preciso in cui tutto cambierà. Ma ogni comunità che si organizza, ogni persona che sceglie di non accettare passivamente questo sistema, ogni piccolo movimento che si oppone all’ingiustizia è un tassello di qualcosa di più grande.
È il momento che i popoli si alzino insieme, oltre ogni barriera nazionale, culturale e ideologica, per affermare la loro volontà e dimostrare che un mondo migliore non solo è possibile, ma inderogabilmente necessario. E dipenderà da chi avrà il coraggio di immaginarlo, costruirlo e renderlo reale.
Nicola Buonanno
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