Come ogni sera, compare Peppe e compare Pietro si trovarono nell'osteria di don Ciccio il cantiniere, “che un quarto te lo dà e uno se lo beve”. Si sedettero con il loro quartino di rosso al tavolo e cominciarono a parlare della dura giornata di lavoro. Dopo aver annegato l'odioso capocantiere nel primo quarto, decisero che potevano far "affogare" nel secondo, le loro consorti che non mancavano mai di lagnarsi e di rimproverarli, senza considerare le tante ore di lavoro che facevano all’aperto, con il sole o con la neve… in serbo per loro avevano solo lamentele… in tutte le stagioni.
Un terzo quarto servì ai nostri compari per sommergere gli odiosi vicini, che erano sempre pronti dietro l’uscio a protestare per qualcosa: la cicca di sigaretta davanti alla loro porta, il baccano dei bambini, il pianto notturno del piccolino che disturbava il sonno dei "giusti". Ma proprio vicino a loro dovevano abitare sti’ giusti? E il quarto quartino? Non c'era nessun altro da sopprimere nell’altro quarto che avevano chiesto a don Ciccio? Sì che c'era! Le suocere! Anzi, le suocere meritavano due, tre quarti, perché per annegarle, avevano bisogno di un mare rosso molto profondo. Le suocere mettono bocca dappertutto: su i soldi che porti a casa, sul dopobarba che usi, sulle sigarette, sulla bevuta e le partite a carte con gli amici.
Con le suocere, non sei padrone neanche a casa tua. Ma le loro mogli? Sarebbero state così da vecchie? Brutte, con i baffi bianchi e ispidi, con i capelli grigi e arruffati, il seno cadente e le mani rugose? E poi sempre acide, arrabbiate, "intossicate" dalla vecchiaia e dalla solitudine? Meglio non pensarci e chiedere a don Ciccio un'altra brocca. Dopo l’ottavo quarto e due ore di conversazione, sempre più sgrammaticata e impastata, i due amici uscirono dall’osteria, aggrappati l’uno all’altro, continuando, tra una risata e un’inciampata, a far a gara sui difetti delle consorti e delle loro madri, le prime, future suocere di qualcuno e le seconde presenti fustigatrici di loro due.
- Compa’, sei rosso come un peperone.
- E perché tu no? Andiamoci a sciacquare alla fontana in piazza, senno a casa ci sbranano.
- E credi che non si accorgeranno di quanto abbiamo bevuto? Comunque, andiamo, almeno ci rinfreschiamo.
Fuori era già buio e malgrado non fosse tardi, non si vedeva nessuno. Meglio, si dissero i due compari: “Siamo i re del paese e nessuno osi mettersi sulla nostra strada, che li facciamo fuori con l’alito”. E giù a ridere e a darsi spintoni. D’improvviso, compare Peppe si fermò e bloccò con il braccio Pietro che si puliva i pantaloni dopo l’ennesima caduta.
- Compa’! Ma chi c’è alla fontana?
Compare Pietro strinse gli occhi, ma era buio e non si vedeva bene.
- Mi sembra un cane.
- Ma quale cane! Non vedi quanto è grosso. E poi ha solo due gambe…
- Sì però io gli vedo la coda ed è pure peloso…
La frase gli si strozzò in gola: la cosa pelosa si era girata e li guardava con occhi di fuoco. I due compari si scambiarono uno sguardo veloce e… via, cominciarono a correre. Come riuscissero, brilli com’erano, ad andare così veloci e a non cadere, rimane un mistero. Quando trovarono un portone aperto, vi s’infilarono.
Senza fiato e con le gambe molli, per la corsa e la paura, aspettarono che la cosa pelosa superasse il loro nascondiglio.
- Madonna! Hai visto compa’? C’ha la testa enorme, come il capocantiere.
- E c’ha i denti neri di tua suocera. Pure i baffi sono quelli di tua suocera.
- E il naso? E’ grosso e lungo come quello di tua moglie.
- Compa’, ma è il vino di don Ciccio che ci fa stì scherzi?
- Non lo so, però, giuro, se quel mostro non ci sbrana, non tocco più un quarto.
- Giuro pure io.
Sentendo dei passi, si appiattirono al muro. Quando non si udì più niente, uscirono, si guardarono intorno e, senza parlare, s’incamminarono. Ad un tratto si fermarono, si guardarono e, …via... da don Ciccio il cantiniere, che un quarto se lo beve pure, ma quello che dà a te, è il più buono a far passare le paure.
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