Seduta in attesa del treno che l’avrebbe riportata a casa, pensava a tutti i segnali che quella mattina le erano stati inviati per indurla a starsene a letto e che lei non aveva colto: la pioggia insistente il 21 giugno, la macchina allagata per la guarnizione rotta del finestrino, l’impianto elettrico in tilt, l’antifurto impazzito che blocca le portiere. Un sospetto che il colloquio di lavoro fosse segnato dal fato le doveva venire.
L’abbandono della macchina, la corsa in stazione con il treno preso al volo senza biglietto, l’arrivo del controllore alla penultima fermata, la conseguente multa: altri segnali non del tutto colti. Quando finalmente era approdata nell’ufficio del personale aveva pensato che il peggio era passato, ma si sbagliava.
Una folla di bellone in tailler minigonna e cartelletta, era bivaccata nell’ufficio. La pioggia non aveva mosso neanche un capello di quell’esercito di messiimpiegate, mentre lei sembrava uscita da una centrifuga. La catastrofe però, si manifestò al cospetto del selezionatore, un giovane cinese che l’aveva salutata con un cordiale “Ni Hao” e aveva proseguito intervistandola in cinese, aspettandosi di parlare con la candidata che aveva dichiarato nel curriculum di conoscere quella lingua.
Ma quale cinese! Conosceva solo i nomi dei movimenti Tai Chi per un corso che aveva frequentato. Da qui l’idea di quella dichiarazione che pensava nessuno avrebbe potuto smentire. E invece… Solo il saluto aveva capito e, combattuta se darsela a gambe o stramazzare al suolo fingendo un malore, aveva optato per accasciarsi su una sedia, stare zitta e guadagnare, meschinamente, l’uscita.
Seduta su quella panchina della stazione era riuscita a trovare un po’ di riparo emotivo. Durò poco: un barbone con il carrello pieno di buste disordinatamente impilate, si avvicinò sedendosi proprio vicino a lei. Voleva far finta di niente ma, visto come, in quello strano giorno, le normali variabili quotidiane si erano trasformate in fenomeni straordinari di sfiga, si era decisa ad andare via, temendo che il barbone cominciasse a inveire contro qualche immaginario nemico fustigando chi aveva sottomano, in questo caso lei.
Stava per alzarsi quando l’uomo la fermò: “Rimanga. Non mi dà fastidio”. Temendo ripercussioni, obbedì. L’uomo si sistemò e poi cominciò a trafficare con le sue cose: da una delle buste tirò fuori una bottiglia di vino, non uno qualunque, un rosso pregiato, che fu appoggiato di fianco a lui. Da altre buste vennero fuori: tovaglia bianca pulitissima, bicchiere di vetro e coltello, anche questi puliti, un involucro rigonfio.
La bottiglia fu aperta con maestria e il vino fu versato nel bicchiere. Dall’involucro invece, venne fuori un profumato panino con la mortadella. Aveva seguito tutto con attenzione e meraviglia e quando il barbone portò il bicchiere alla bocca, ne incrociò lo sguardo. Chissà cosa aveva rivelato di lei quello sguardo, tanto da indurlo a chiedere: ne vuole? Senza aspettare la risposta, perché tardava a venire, tirò fuori un altro bicchiere e lo riempì del rosso. Poi divise a metà il panino e glielo porse.
Consumarono silenziosi, godendosi le emozioni che l’incontro di sapori e vissuti diversi stava generando. Ruppe lei il silenzio con un pensiero ad alta voce:“Questo momento valeva la giornata”. Il barbone replicò, a sé stesso più che a lei: Quando riesco, vado in enoteca e scelgo un vino. Poi penso a cosa posso comprare da mangiare con i soldi che mi restano. Riesco sempre a pensare a qualcosa che vada bene.
Non tutte le giornate sono così però. Certe volte mi tocca comprare un vino economico e poi diventa difficile decidere cosa mangiare. L’arrivo del treno mise termine all’incontro e lei ci salì sopra più leggera, liberata dalla zavorra di una giornata storta. Seduta sul sedile del treno decise come chiuderla quella giornata: scegliere un buon vino e poi pensare a cosa comprare da cucinare per favorire un incontro di gusti che si fondessero senza annullarsi l’uno nell’altro.
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