
Matilde R.:, insegnante da 24 anni. Non la maestrina dalla penna rossa, ma la maestrina di Gianburrasca.
Ti ricordi la maestrina dalla penna rossa di De Amicis? Dolce, premurosa, accogliente. Le insegnanti di oggi lo sono?
Matilde R.: Nella mia realtà vedo che ci sono tre tipi di docenti: le brave, che devono dimostrare di esserlo; le stipendiate, che svolgono il compitino; e le estranee, quelle come me, che si sentono avulse dal contesto scolastico. Si fanno progetti, si propone di tutto, ma l’attenzione è sulla performance, non sulla sostanza dell’insegnamento. No, non sono accoglienti.
Per me, essere accoglienti significa mettersi in gioco, rendere partecipe di qualcosa di proprio, offrirsi e lasciarsi “sporcare” dai propri alunni.
Cosa significa insegnare, oggi?
Matilde R.:: La scuola dovrebbe essere una finestra sul mondo. Io appartengo a una generazione in cui la scuola era uno strumento per cambiare il mondo. Ora, intorno a me, vedo tanta finta disponibilità, finta professionalità, finta partecipazione.
Insegnare, per me, è formare, non solo trasmettere conoscenze. Perché l’insegnamento abbia valore, bisogna dare il proprio vissuto, regalare esperienze, prediligere il rapporto umano.
Tu mi parlavi della maestrina dalla penna rossa… Io vorrei essere la maestra di Gianburrasca. Quel terribile ragazzino educato a dire sempre la verità, in rivolta contro il conformismo del mondo dei grandi. Dovremmo insegnare a sbagliare. Gli errori e i fallimenti aiutano a crescere. I bambini devono fallire e fare esperienze per diventare adulti sani.
Il nostro ministro della (d)’Istruzione (questa mi è scappata…), a proposito di inclusione, promette da tempo il ricorso a docenti specializzati a supporto dell’apprendimento linguistico degli alunni stranieri. Poi però afferma che, nelle scuole, la maggioranza deve essere italiana…
Matilde R.:.: Come esperienza personale, ho assistito al ricorso a Google Traduttore e al linguaggio dei gesti per colmare quello che viene definito “svantaggio linguistico” una definizione che mi fa venire i brividi. Ma forse è ancora più grave il tentativo di omologazione, come se il plurilinguismo fosse un deficit da estirpare insieme a culture e tradizioni diverse.
In teoria esiste un piano di inclusione, strategie e attività che si mettono in campo per ottenere l’inclusione. Considera che l’Italia è uno dei pochi Paesi dove le classi differenziate sono state abolite nel 1977, con la nascita della figura dell’insegnante di sostegno.
Per gli alunni in condizione di disabilità, la struttura è ben collaudata e, con gli insegnanti di sostegno, in qualche modo operiamo. I bambini stranieri, invece, non sono considerati “un problema”, ma possono diventarlo. Mi riferisco allo “svantaggio linguistico” a cui accennavi prima: l’assenza della figura dei mediatori culturali e linguistici ci penalizza molto e ci priva di un grande aiuto.
Come si ovvia a questa mancanza? Inserendo gli alunni stranieri nel gruppo BES (Bisogni Educativi Speciali): metodologie didattiche differenti, schede semplificate, prima alfabetizzazione… Sì, ma tutto rimane sulla carta. In compenso, dal punto di vista amministrativo, siamo a posto.
Tutto è in mano alla volontà e alla capacità dei docenti, ed è un peccato. Ricordo un bambino straniero che mi spiegava come trattare al meglio gli strumenti musicali, un piccolo grande esperto. Potenzialità e conoscenze spesso sottovalutate.
Oggi un insegnante è più formatore o burocrate?
Matilde R.:: Dovremmo essere formatori, ma siamo diventati burocrati. Il piano di inclusione è incoerente con il sistema di valutazione.
Pensa al registro elettronico… Ci ha rese schiave, controllori della vita dei nostri alunni e delle loro famiglie. I genitori sanno tutto e subito, gli insegnanti furbetti caricano compiti e materiali a ogni ora, i ragazzi controllano in continuazione e sono sempre connessi.
Un circolo vizioso: ognuno controlla l’altro. Ma quando è stata l’ultima volta che un genitore ha semplicemente chiesto al proprio figlio: “Com’è andata oggi a scuola?”
I genitori sono assolti dall’ingrato compito di prestare attenzione ai figli, di chiedersi se c’è qualcosa che non va, di cercare le parole per comprendere una nota, un ritardo, motivazioni che non possono essere scritte su un registro.
Sufficiente, non sufficiente… che senso ha? La scuola per me deve essere formativa, non performativa.
Mi chiedevi dei docenti specializzati? Parliamo allora del PNRR: cosa prevede?
Matilde R.:: È stato creato a vantaggio di società private che formano esperti di formazione per le scuole pubbliche. L’obiettivo? Spendere soldi e giustificarli.
Ultima domanda: consiglieresti a una giovane donna di fare questo mestiere?
Matilde R.:: Sì. Nonostante le mie perplessità e la sfiducia che ho espresso finora, consiglierei questo mestiere.
È un mestiere che fai se hai a cuore l’umanità, se credi nella forza dei sentimenti. Un lavoro che riesce a dare ancora grandi gratificazioni, che stimola a rimanere al passo con la storia perché consente di essere sempre in comunicazione con le menti che costruiranno il futuro.
Le maestre e i maestri possono avere un ruolo, che è anche una grande responsabilità, sulla qualità di questo futuro.
La scuola è l’ultimo baluardo della libertà di pensiero: è una resistenza civile al dilagare dell’ignoranza sociale e “social”; è una forma di barricata culturale per arginare e respingere gli attacchi quotidiani della politica, dei media, degli interessi personalistici dei grandi gruppi economici, che mirano a sgretolare il pensiero critico e divergente.
Per rimanere nel campo degli scolari discoli della letteratura italiana, direi che l’obiettivo primo dell’azione didattica dei docenti, di ogni grado scolastico, è quello di fornire ai Pinocchi che animano le nostre classi le “armi” culturali per tagliare tutti i fili che li rendono burattini.
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Grazie, Matilde. Parlare con la maestra di Gianburrasca è stato un toccasana per me: una maestra appassionata e dal cuore romantico “illuminista”, che non si arrende, non depone le armi, ma combatte per la scuola in cui crede: pubblica, libera, laica e con tanta voglia di “fare”.
Zina Maioli
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