Vorrei riuscire a trovare le parole per portare fuori il mare di emozioni nel quale affondo… Invece…. annego nell’ inconsistenza insostenibile delle parole di fronte a tragedie come quelle di Cutro.
La politica di maggioranza si autoassolve senza processo, quella di opposizione elargisce opinioni di circostanza, l’intellighenzia giornalistica spreca minuti a rimbalzare comunicati, difese, accuse, senza prendere posizioni troppo scomode agli editori.
Ma noi? Noi che possiamo dire?
Non so quanti hanno la stessa difficoltà nel trovare le parole, ma io non riesco a trovare niente, niente che non mi risulti inutile persino a pensarlo…
Vorrei invece, poter dire qualcosa che possa fare la differenza, che possa veramente smuovere gli animi assuefatti al peggio, al dolore passeggero che provoca la disgrazia altrui, all’indignazione momentanea che si tramuta subito in altro, leggendo o ascoltando una nuova notizia.
Ma noi? noi che possiamo fare? Oltre indignarci per quello che sentiamo in difesa dell’indifendibile, oltre che scrivere post infiammati, commenti addolorati, risposte ovvie, soluzioni impraticabili…
Non so… O forse sì? Forse io ho la risposta… solo che comporta una personale rivoluzione culturale che stravolge la pigrizia sociale ed intellettuale in cui sono caduta, in cui in tanti siamo caduti.
Sì perché, a pensarci bene, non è importante chiedere ad altri cosa dire, cosa fare, come muoversi. Chiedere a chi poi?
Ho realizzato che per uscire da questo senso di impotenza, devo cominciare a pensare che non c’è qualcun altro a cui demandare, un altro che agisce per me, che lotta per me, che cerca di cambiare le cose per me, che mi rappresenti tanto da fare quello che farei io.
Ho realizzato che devo, io DEVO, reagire. Noi tutti dovremmo.
Dovremmo cominciare a pensare in che mondo vogliamo vivano i nostri figli; dovremmo cominciare a liberarci dal torpore indotto dai social a cui abbiamo delegato la nostra vita, consentendogli di indirizzare i nostri gusti, le nostre scelte, le nostre esigenze, le nostre sicurezze e anche le insicurezze. Dovremmo abbandonare l’agorà virtuale e confrontarci in quella reale.
Dovremmo ri-programmare il nostro agire: tradurre in un’azione nostra, la rabbia che ci sale dentro quando qualcosa che accade ci colpisce, ci ferisce, ci indigna. Dovremmo ricominciare a credere che possiamo fare qualcosa, per quanto piccola sia, per cambiare quello che non ci appartiene.
Dovremmo, come quando eravamo giovani, crederci invincibili e infallibili e affrontare le lotte, per quanto possono essere simili a quelle che combatteva Don Chisciotte contro i mulini a vento.
Dovremmo, come persone, cittadini, elettori, genitori, educatori, poter raccontare di non esserci voltati dall’altra parte, di non essere rimasti inermi davanti ai soprusi, di non essere rimasti indifferenti perché non riguardava noi.
Dovremmo come adulti, farci carico della responsabilità di EDUCARE, di trasmettere principi “sani” improntati alla solidarietà, all’umanità, all’empatia, alla giustizia, alla libertà, al rispetto, alla partecipazione. Educare è una grossa responsabilità, ma noi non possiamo sottrarci: è a rischio la civiltà.
Sì perché, checché ne dicano, non è degno di un paese civile quello che è successo a Cutro. Non è civile quel paese che non trovi umanamente intollerabile il non prestare soccorso a persone in difficoltà, non è civile quel paese che non consideri moralmente inaccettabile la distinzione fra vite di serie A e di serie B e non è civile quel paese governato da figuri che non si assumono mai la responsabilità degli errori commessi.
Quel paese non può essere il nostro paese… non può.
- Blog di Rosa Buonanno
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