
La storia dell’uomo è una lunga, interminabile catena di conflitti. Guerre per espandere territori, per accumulare ricchezze, per affermare la supremazia. Ma il Medioevo segna un punto di svolta.
In quel periodo buio, l’arte del saccheggio si fa sistematica, calcolata, cinica. Non si tratta più solo di espandere confini o conquistare città.
Le guerre medievali diventano strumenti di manipolazione politica e religiosa, mascherate da "crociate sacre", missioni divine per giustificare atrocità umane. Dietro ogni stendardo crociato, dietro ogni sermone del potere religioso, si nascondeva una sete insaziabile: di ricchezze, di terre, di controllo.
Eppure, guardiamoci intorno. Quanto siamo cambiati davvero da quel Medioevo che tanto disdegniamo?
Le mura dei castelli non ci sono più, ma i confini nazionali sono diventati i nuovi bersagli. I signori feudali si sono trasformati in multinazionali e governi arroganti. Catapulte e spade hanno lasciato il posto a droni e missili, ma l’obiettivo è lo stesso di mille anni fa: depredare le risorse, schiacciare i deboli, mantenere il controllo con qualsiasi mezzo necessario.
Le Crociate saccheggiavano miniere, raccolti, forza lavoro. Oggi i giacimenti petroliferi, le terre rare, le risorse idriche sono i nuovi "tesori" da conquistare. I metodi si sono modernizzati, certo, ma l’essenza resta immutata. E, come allora, il prezzo più alto lo pagano sempre gli ultimi: le popolazioni locali, ridotte in miseria, sradicate dalle loro terre, trattate come pedine sacrificabili in una partita giocata da pochi potenti.
Prendiamo ad esempio i conflitti contemporanei (escludo volutamente il conflitto russo-ucraino per la sua complessità: meriterebbe un capitolo a parte). Libia, Iraq, Afghanistan, Siria, Palestina. Guerre spacciate per lotte alla tirannia, per la difesa della libertà, per il rispetto dei diritti umani. Ma davvero ci crediamo ancora? Davvero possiamo accettare senza indignarci che dietro ogni "intervento umanitario" si nasconda un assalto calcolato alle risorse di quei paesi? La storia recente lo dimostra:
Libia (2011): Con la scusa di "liberare" il paese da Gheddafi, la Libia è stata ridotta a un campo di battaglia. Le sue risorse? Spartite tra le potenze straniere, mentre il popolo libico rimane intrappolato nel caos e nella violenza.
Iraq (2003): Un’invasione giustificata dalla più grande bugia del secolo, le famigerate "armi di distruzione di massa" mai trovate. Il risultato? La devastazione di un intero paese, più di cinquecentomila morti civili, e l’esproprio sistematico delle sue riserve petrolifere, consegnate alle multinazionali.
Afghanistan (2001-2021): Una guerra di vent’anni, ufficialmente contro il terrorismo, ma anche una lunga occupazione per garantirsi il controllo strategico e le risorse minerarie.
Siria (dal 2011): Un conflitto trasformato in un gioco geopolitico, in cui ogni potenza straniera ha preso la sua fetta di territorio, risorse e influenza. Nel frattempo, milioni di persone sono state sacrificate sull’altare della politica di potere.
E poi c’è la Palestina, una ferita aperta nel cuore della geopolitica mondiale. Qui, sotto pretesti religiosi, politici e strategici, il diritto all’autodeterminazione di un popolo viene calpestato giorno dopo giorno. Non c’è giustificazione possibile per decenni di occupazione, soprusi, umiliazioni. Negli ultimi mesi stiamo assistendo inermi a quella che sembra l’eliminazione deliberata di un intero popolo.
“Tu chiamalo, se vuoi… genocidio”.
È un dramma che si consuma nell’indifferenza del mondo, che guarda e tace.
Oggi, come allora, i potenti si impongono con la forza. Nell’arena internazionale, alcune nazioni agiscono come veri e propri bulli, seguite da un codazzo di stati che preferiscono assecondarli anziché opporsi, anteponendo il campo dell’arrogante a quello dell’oppresso.
E così, si autoproclamano difensori della libertà mentre devastano paesi, saccheggiano risorse e accumulano ricchezze. Il loro alibi? La diplomazia, la protezione, la lotta al terrorismo. Ma dietro queste parole si nasconde una verità crudele: il sangue dei deboli continua a ingrassare i forti.
E proprio come nel Medioevo, il prezzo di queste guerre lo pagano i più vulnerabili.
Milioni di persone costrette a lasciare le loro case, ridotte a rifugiati in condizioni disumane.
Bambini che muoiono di fame, neonati che non vedranno mai la luce della giustizia, civili innocenti le cui vite vengono spezzate senza rimorso.
Dietro ogni bomba c’è un volto umano, ma a chi importa?
Per i potenti, le vite spezzate sono solo numeri in una statistica. Per loro, la dignità umana non vale quanto un barile di petrolio.
Questa ciclicità di ingiustizie è uno specchio brutale della nostra incapacità di evolvere davvero.
Continuiamo a ripetere gli stessi errori, a inseguire le stesse brame di potere. E allora chiediamoci: siamo davvero più evoluti degli uomini del Medioevo?
Oppure ci siamo semplicemente illusi di esserlo, nascondendo la nostra barbarie dietro tecnologie più sofisticate e giustificazioni più elaborate?
La verità è che il vero progresso non si misura dai confini che tracciamo né dalle risorse che accumuliamo, ma dal coraggio di riconoscere che ogni atto di sopraffazione, ogni silenzio complice, ogni indifferenza ci spoglia dell’essenza umana.
E così, mentre crediamo di avanzare, torniamo più bruti e ciechi di chi vagava in quell’oscuro medioevo…
Nicola Buonanno
- Blog di ntlnico
- letto 162 volte
Aggiungi un commento