Hanno ragione i bambini a voler scrivere solo nelle pagine a destra del quaderno. Quelle a sinistra sono scomode, devi trattenere con la mano l’energia dei fogli che vogliono sollevarsi, appoggiando, anzi premendo l’avambraccio con forza sulla piegatura del quaderno per creare un piano comodo e parallelo al banco e rendere fluida e agevole la scrittura. Ecco perché lasciano bianche quelle pagine, risolvendo con facilità il problema. Inutili le esortazioni della maestra a non sprecare quello spazio che promette fertilità; “ci faccio un disegno dopo”, è la frase che mette tutto a posto, “o ci incollo una scheda”. “Sì, ma così torni indietro nel tempo” ribatte quasi sempre la maestra. “E tanto che fa?” tuona deciso il bambino.
E’ vero, ma che fa? Per chi può essere così importante una pagina, due , tre e anche quattro lasciate in bianco e poi colmate con un bel disegno o una scheda, asincrona rispetto alla pagina a fianco? Possiamo forse dire che i pensieri si succedono in una maniera ordinata e cronologicamente corretta? I quaderni dei bambini non sono per niente il riflesso dei loro pensieri, di quello che a volte hanno voglia di fare in barba alla successione logica e temporale delle attività didattiche. “Prima si fa questo e poi quell’altro”, anche se loro hanno voglia di fare tutt’altro. I pensieri non si controllano e non potremmo, anche se a volte ci proviamo, cercando disperatamente di ingabbiarli in contenitori a noi conosciuti, chiari, noti. I pensieri vagano, vanno avanti, ci precedono lasciandoci indietro, inebetiti.
Ho lasciato anch’io la pagina bianca, pensando subito alla maniera di riempirla, magari con un disegno, un foglietto scritto con un pensiero sopra, un oggetto, forse un fiore da incollare, un ricordo. Che restino vuote quelle pagine scomode, quello spreco di alberi morti inutilmente! “Che ci fa?” Chi lo dice che tutto deve avere un motivo? Chi stabilisce se una scelta sia valida o meno? E se quello che a prima vista può sembrare uno spreco, sia invece una deliberata voglia di fare spazio a qualcos’altro? L’elogio dello spreco finalizzato, in contrapposizione all’utile programmato, che invece fa pensare ad un tempo scandito, ad un’attività frenetica, ad una nevrosi inarrestabile. Come quella delle dita che freneticamente battono su una tastiera di uno smartphone, collegato ad amici informatici che altrettanto nevroticamente tentano di riempire gli spazi vuoti della vita. Endorfina allo stato puro.
Quando ero poco più che adolescente e mi trovavo per strada da sola, in attesa di un’amica, sentivo dentro l’imbarazzo tipico della mia età, quello che vorrebbe farti diventare trasparente al mondo, per non sentire gli occhi degli altri su di te, occhi che giudicano, tu pensi, mentre sono solo sguardi distratti lanciati intorno casualmente. Quelli erano per me momenti di riflessione, di intensa attività neuronale. Fantasticavo sulla mia possibile invisibilità, dirigevo il mio sguardo sulle persone, le osservavo nel modo di camminare e di gesticolare, nel modo di parlare, nel tono della voce e mi addentravo nei meandri della loro mente, alla ricerca di ricordi e di momenti di vita vissuti, affiorati sulla superficie del loro corpo. E immaginavo la loro vita, allegra o triste, a seconda delle emozioni che leggevo sui loro visi; mi figuravo i volti delle persone che popolavano il loro mondo e l’amore, sicuramente già trovato.
Nessun ragazzo ha più questi pensieri; l’imbarazzo è presto superato, la solitudine è scomparsa, nessuno di noi è più solo. Esiste un compagno onnipresente, sempre disponibile, un oggetto con l’anima elettronica capace di dissipare qualsiasi imbarazzo, senza lasciare tracce di pensieri e di emozioni. Lascia solo una costellazione di emoticon e di miseri errori grammaticali. Ecco, quel “tempo perso” mi manca terribilmente, è quella pagina bianca a sinistra, scomoda per scriverci, ma utile per altro. Quel prezioso “spreco finalizzato” gonfio di pensieri, di riflessioni, di divagazioni, di creazioni non ingabbiabili…gonfio d’amore.
Patrizia Clemente
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