Cimentarsi nella noiosa attività di disfare la valigia dopo una vacanza, può “rivelarsi”, e non solo in senso letterale, una riflessione filosofica sul significato del viaggio.
Ci dicono i saggi: “La vita è un viaggio”. Sì però, io non ho nessuna voglia di arrivare alla meta.
Ci ribattono: “Ma la meta non è la parte più importante del viaggio, è il percorrere la strada che ci consente di crescere, di fare esperienze, di confrontarci con il mondo e con noi stessi”.
Sì però, se si passa la vita a viaggiare, si corre il rischio di non godersi i posti, le persone, le esperienze che meritano approfondimenti e stanzialità.
Ci obiettano con sicumera: “Anche da fermi si viaggia. Riflessioni, emozioni, sentimenti, sono parte del viaggio interiore quotidiano”.
Sì però, come si fa a fare un viaggio in posto dove google map non ha accesso, dove non ci sono recensioni di riferimento e per il quale non esiste neanche un’antica e “irripiegabile” mappa cartacea? E’ una titanica impresa che nasconde insidie in ogni anfratto emotivo, affettivo, ormonale: troppi rischi per chi ha già speso la sua quota di curiosa incoscienza e volitiva intraprendenza giovanile.
No. I viaggi interiori, seduta lungo la riva del divano, aspettando di vedere passare i cadaveri delle mie poche certezze, non soddisfa la mia sete di conoscenza, la mia ingordigia di vita, la mia famelica voglia di vissuto… Inquietudini che placo solo lanciandomi anima e soprattutto corpo, nell’umanità variegata del turismo di massa…
E poi parlavamo dell’opportunità di riflessione filosofica che fornisce l’attività di disfare la valigia, opportunità che, come le migliori compagnie aeree low cost, non ci offre il viaggio interiore con il suo misero bagaglio a mano.
Ed eccomi qui, davanti alla mia valigia aperta, a riflettere filosoficamente e a cercare di interpretare il significato divinatorio degli indumenti sparsi, in modalità random, sul fondo di essa: due sciarpe, di cui una enorme - quasi un plaid -, guanti, un piumino corto e uno lungo, niente cappelli perché smarriti, calzini di lana e calzamaglie, maglioni, maglie della salute, pantaloni.
Guardare i segni che la valigia mi ha restituito sotto forma di indumenti, mi ha provocato la visione mistico-sciamanica di una donna che si aggira per la città più romantica del mondo, con le sembianze di un’infreddolita befana. Un’informe omina michelin che si muove rimbalzando goffamente fra gli scanni di cattedrali gotiche, fra i ritratti di gioconde donzelle rinascimentali in famosi musei, fra i tavoli di affollatissimi bistrò… Un’attempata donna a cui si cede il posto nella metro, che, per predestinata coincidenza, è posto - si perdoni il gioco di parole - di fronte al finestrino e che fornisce la ragione della galanteria di cui la stessa è stata fatta oggetto: un’anonima imbacuccata signora di mezza età che è talmente contratta nelle spalle da apparire gobba e malferma sulle gambe…
E’ talmente diversa dall’immagine che ha di sé stessa, da non riconoscersi al primo sguardo. Il secondo invece, la lascia impietrita: ma sono io quella? Non riesce a convincersi che la donna fascinosa e affascinante che sente di essere e che credeva risultasse agli occhi degli altri, sia quella stanca e spenta signora che sembra non desiderare altro al mondo, che infilarsi le pantofole e somministrarsi la dose quotidiana di tv.
Ed ecco che, dopo il rivelarsi dei segni e la visione sciamanica, arriva la profezia dei fondi di valigia: nel mio destino non vi sarà più un viaggio invernale in una città fredda. La fata turchina che è in me e in tutte le donne i cui anni viaggiano negli “anta”, non sarà mai più imprigionata nei cappottoni, sciarponi, scarponi, cappelloni, guantoni e così via… Questa è la profezia che mi restituisce la mia valigia e dopo aver riposto lo strumento divinatorio, sullo scaffale più in alto dell’armadio, la fata turchina che è in me, si adagia con grazia sul divano con un libro, godendosi soddisfatta l’accogliente tepore delle mura domestiche.
- Blog di Lady Pasticella
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