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La frittata ed altro

Ritratto di Vincenzo Cimmino
Inviato da Vincenzo Cimmino il Lun, 03/06/2024 - 13:38

Tra i piatti della cucina napoletana, quello che preferisco è la frittata di maccheroni.
Lo definisco piatto in quanto, benchè si lavori sugli avanzi, questa ulteriore elaborazione degli ingredienti risulta fondamentale per ottenere un buon risultato e trasformare questi residui in qualcosa di buono e diverso.

Personalmente preferisco la frittata rossa, con aggiunta di ragù di pomodoro, fatta con pasta grossa come ziti o tortiglioni, leggermente “arruscata” dal fuoco della frittura, ma non bruciata.

Non mi piacciono le cosiddette frittatine, perché non mi pace la besciamella, né le frittate fatte con gli spaghetti, perché sono pesanti. Per dirla alla napoletana: sono “gnummose”.
La frittata di maccheroni a me ricorda l’infanzia, il mare, le gite di metà agosto e poi, in età giovanile, i primi viaggi da solo, lontano dalla famiglia, con questo cartoccio che ci sfamava i primi giorni, quindi un vero e proprio “confort food”.

Tuttavia, al di là del suo potere evocativo, scrivo di questo piatto per avere l’opportunità di fare qualche riflessione sull’identità.
La prima riguarda la “napoletanità”. Il grande afflusso turistico e il vento di Parthenope di Sorrentino hanno riproposto la questione. Questa qualificazione identitaria del popolo che abita la città di Napoli, secondo alcuni intellettuali napoletani del dopoguerra, non è altro che una finzione che serve a mascherare la mancanza di una “vera e propria storia”, interrottasi dopo l’aborto della rivoluzione del 1799.

Quindi, secondo questa visione, come bene diceva La Capria, i napoletani recitano la napoletanità perché in sostanza, non hanno un’identità.

Tuttavia, tornando alla nostra frittata, in realtà buona parte dei piatti della cucina povera napoletana presenta un tratto fortemente identitario che va oltre gli ingredienti e le tecniche utilizzate: l’elemento che la vince e che accomuna tutti i piatti poveri napoletani è “la fame”. Il nesso socio-gastronomico tra l’identità napoletana e la frittata è essenzialmente costituito da una frattura tra la plebe e la borghesia, fra chi sta sopra e chi sotto, parafrasando la verticalità della città, fra chi non spreca niente e riutilizza gli avanzi e che quelli che li snobbano. Va detto però, che con l’afflusso turistico e l’evoluzione economica degli ultimi decenni, questo fattore identitario è andato a sfumarsi ed è quindi vero che ormai la napoletanità, anche culinaria, è diventata pura finzione teatrale pei i turisti.

Una seconda riflessione riguarda il concetto di identità e la sua dimensione storica. Comunemente si pensa, proprio partendo dalla frittata di maccheroni, che la pasta sia da sempre appartenuta alla nostra storia culinaria. In realtà questo è un errore. L’utilizzo della pasta a Napoli si è diffuso in maniera massiccia dall’inizio del 1600, proveniente dalla Sicilia e da altri paesi del bacino, dove, già da un millennio, era largamente consumata.

Con la forte urbanizzazione di Napoli, l’utilizzo della pasta diventa essenziale a causa dell’aumento della popolazione e la necessità di sfamarla. Per quanto riguarda invece il pomodoro, in Campania, il suo uso è ancora più recente. La sua diffusione, infatti, si è avuta solo dall’inizio del 1800.

Questi dati storici ci permettono quindi, un’ulteriore riflessione che confuta l’idea che si sta diffondendo in Italia negli ultimi anni, di un sovranismo alimentare. L’identità alimentare, in effetti, non è altro che il frutto di continui scambi e sedimentazioni in cui i nuovi prodotti e le nuove idee, sono serviti al miglioramento delle condizioni oggettive di vita, e, diciamocelo, la frittata di maccheroni ha migliorato di molto la nostra vita… La mia, di sicuro.

Commenti

Caro Vincenzo,
prima di tutto è sempre un piacere leggerti.
Poi leggere della poesia della frittata di maccheroni è ancora più potente: infanzia, madre, mare, amiche e amori.
Infine, la riflessione sull’identità napoletana.
Questa mi appassiona di meno. Direbbe un proverbio: i buoi sono già fuggiti dalla stalla, ormai è inutile chiuderla.

Mi sento, forse da sempre essendo figlia di emigranti, una figlia europea. E figurati tentare di parlare proprio in questa fase storica di questa identità.
Per ora meglio esprimere almeno un voto in questo giorno di elezioni.
Sull’identità europea sé ne parla fra qualche centinaio? Migliaia? Di anni.
P.s. Però se la prepari la frittata vengo a trovarti in Cilento.

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