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Storytelling o “merde” d’artista

Ritratto di Vincenzo Cimmino
Inviato da Vincenzo Cimmino il Dom, 08/09/2024 - 19:33

Non so se avete seguito la polemica, nata dall’intervista alle due panificatrici “laureate” di Milano che vendono il loro pane a 9 euro al chilo. Tralasciando la questione se è il prezzo di 9 euro per un chilo di pane sia eccessivo o adeguato, ci sono delle cose che mi hanno colpito di questa intervista e su cui faccio una riflessione.

Tra le ragioni addotte per giustificare questo prezzo – le materie prime particolarmente ricercate e le tecniche di lavorazione utilizzate - nell’intervista le panificatrici legano il prezzo del pane anche allo storytelling del loro prodotto.

Ma cosa è lo storytelling? Secondo il dizionario è “l’arte della narrazione, cioè una strategia comunicativa che veicola messaggi attraverso la narrazione e alcune tecniche e schemi propri dell’arte della retorica e del racconto”.

Approfondendo un po' l’argomento, si potrebbe quindi pensare che il narrare e lo storytelling siano la stessa cosa, che siano insomma, sinonimi. In realtà non è così.

La narrazione serve a mettere in ordine una serie di accadimenti allo scopo di dare loro un significato personale, un senso a ciò che è avvenuto nel passato e del riflesso che i fatti passati hanno sul nostro presente e futuro. Quindi la discriminante della narrazione è il “significato” che ha assunto un accadimento personale sulla nostra evoluzione personale.
Cosa diversa è lo storytelling.

Come risulta chiaro dall’intervista, in questo caso la narrazione del prodotto pane è strumentale allo scopo di farci aderire ad un “lifestyle”, così come lo è per l’acquisto di un determinato pantalone o di un paio di scarpa alla moda. Quindi nello storytelling manca il “senso” personale della narrazione, che diventa uno mezzo per realizzare un bisogno indotto. In questo caso perciò, il raccontare non ha alcun “significato”.

Andando sul personale, ho molto spesso partecipato a degustazioni di vini o di altri prodotti, in particolare di formaggi. Ricordo, in particolare, le degustazioni dei formaggi con Gregorio Rotolo, produttore tra i migliori in Italia, in cui lui, proveniente da una famiglia di allevatori da generazioni, spiegava come aveva dato un nuovo volto ai pecorini abruzzesi, rendendoli delicati, con aromi superbi e con quel sapore senza eccesso sale.

Gregorio raccontava di quando, da bambino, accompagnava la mamma al mercato per vendere i loro formaggi, sempre troppo salati e duri, e della sua decisione di dar vita a qualcosa di diverso. Sentire questo omaccione di oltre cento chili, per niente alla moda, mi ha fatto capire che quei prodotti, in realtà erano il risultato e lo specchio della sua vita.

La polemica dello storytelling del pane a 9 euro, mi ha fatto ricordare inoltre, un episodio riportato da Massimo Montanari, nella raccolta “I racconti della tavola”. La storia si svolge ad Alessandria d’Egitto e ha come protagonista il cuoco Fabrat. Un lunedì, mentre il cuoco era impegnato a lavoro, un pover’uomo con un pezzo di pane in mano, non avendo soldi per comprare cibo, pone il suo pezzo di pane sopra una pentola, intercettando così il fumo che né usciva, e poi lo mangia. A quel punto Fabrat, vedendo la scena, richiede al povero il pagamento di quanto ha preso dalla sua cucina, cioè del fumo, ma il povero si oppone dicendo che lui non ha preso “sostanza”, quindi cibo, ma solo “fumo”.

Questa diatriba arriva alle orecchie del sultano, il quale nomina una giuria di saggi per definire il contenzioso. Dopo diverso tempo e non poche difficoltà, il consiglio dei saggi sentenzia che il povero debba pagare per quanto consumato. Il pagamento non poteva avvenire però in denaro, in quanto quello che aveva consumato il pover’uomo non era cibo, ma solo fumo.
Il risarcimento, fu sentenziato, doveva avvenire facendo sentire al cuoco il suono prodotto da una moneta battuta a terra.

Questa storia mia aiuta a concludere la riflessione sullo storytelling del pane perché introduce un altro elemento per “leggere” la questione e cioè il fumo: checché ne dicano le nostre panificatrici di Milano, a me, la faccenda appare alquanto “fumosa”…

Commenti

Il pane per definizione è “nutrimento” e, da sempre, comun denominatore sulle tavole di ogni popolo, così come il latte per i bambini. Chi fa pagare 9 euro un chilo di pane ha smarrito il senso di ciò che produce o produce qualcosa che non dovrebbe chiamare “pane”….e questo nonostante le lauree!

Concordo, non completamente ma concordo con te. Ormai stiamo tornando ad un epoca antica dove, il cibo, il bere sta diventando strumento di identificazione sociale ed economica. Sicuramente una materia prima di qualità e un processo tecnico particolare possono far " lievitare" il prezzo di un bene. Ma come una borsa di un grande marchio, che ha un costo di fabbrica non eccessivo, con l aggiunta del marchio aumenta, così sta avvenendo per il cibo e peggio per i vini.

Lo storytelling è un prezioso strumento di marketing, decisamente abusato nell'era dei social network.
Nato come mezzo per costruire una narrazione intorno al prodotto e dargli così vita, è ad oggi sistematicamente sfruttato per continuare a parlarne: è ormai più "tell" che "story", per intenderci.

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